Il capitano giallorosso, simbolo di una Roma che non c’è più, viene messo alla porta. Proprio lui, che più di tutti ha incarnato il romansimo in questi anni
Daniele De Rossi non sarà più un giocatore della Roma. Questa la scelta arrivata ieri, una bomba che ha lasciato tutti spiazzati, tifosi e non. L’azienda Roma ha deciso di non rinnovare il contratto al suo capitano, perchè ormai troppo vecchio, troppo acciaccato, incapace di dare un apporto significativo alla squadra. Come scrive su La Repubblica Fabrizio Bocca “Ci vorrà un trasloco per portare fuori tutti i ricordi da Trigoria e le maglie col 16 a citazione di Roy Keane. «Io quel cancello l’ho attraversato che avevo 11 anni, salgo in macchina che qui viene da sola in automatico. C’ho passato un vita, questa è casa mia». DDR è tosto, orgoglioso, un duro. Come dice lui a Roma si vive bene, il “romanismo” per quanto spesso sia stucchevole e opprimente è un valore. Il Chuck Norris del calcio italiano avrebbe voluto dunque chiudere con la Roma ed evitarsi il fastidio di un contratto da strappare chissà dove, negli Usa, in Giappone o gli Emirati, ma non può dolersene più di tanto.
Valerio Mastandrea, profondamente romanista, è la sintesi perfetta di questa filosofia dolcemente rassegnata, che trova soluzione a tutto, anche uno scudetto lì dove non c’è o c’è stato appena prima di lui: «Come 18 anni fa, una festa per lui in ogni quartiere. De Rossi è il nostro scudetto perenne e va sventolato in ogni parte di Roma». Forse è solo un arrivederci. Figlio di un allenatore, De Rossi studierà e farà l’allenatore. Forse anche alla Roma. L’avevamo già capito. La sera del 13 novembre 2017, Ventura si rivolse a lui per farlo entrare durante il lugubre Italia-Svezia che ci buttò fuori dai Mondiali: «Ma porca mignotta, che metti me? Metti Insigne, dovemo vince, mica pareggià!”. Gli avessimo dato retta…